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Preavviso ed indennità sostitutiva nel recesso di un rapporto di lavoro

Avv. Antongiulio Colonna • lug 27, 2021

Il tema che si vuole affrontare è tanto di comune esperienza quanto singolarmente trascurato dagli interpreti e dalla giurisprudenza ed è istituto che risente ancora di significative incertezze nella sua disciplina e regolamentazione.

Il preavviso nel recesso dei contratti di lavoro, come noto, trova la sua primaria fonte di disciplina ancora e solo nel codice civile e, segnatamente, nell’art. 2118 che prevede come “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso” ed ancora “in mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso”. 

Quest’istituto assume quindi la principale funzione di tutelare – in maniera non dissimile da qualsiasi contratto di durata - la parte che subisce un (valido) recesso ma può svolgere anche altre funzioni come, ad esempio, nel suo prolungamento dal lato del dipendente, quella di garantire, pattiziamente, una “stabilità” del rapporto (c.d. “patto di stabilità”).

La sua funzione “istituzionale” è quindi quella di prevedere uno spazio temporale per attenuare gli effetti del (seppur legittimo) recesso e, quindi, consentire, alternativamente, al datore di lavoro di organizzare il passaggio di consegne, riorganizzare l’attività, etc., al lavoratore di reperire nuova occupazione.

Spazio temporale la cui durata è rimessa alla contrattazione collettiva - vera e propria fonte integrativa della scarna disciplina legale – e che, a seconda dei settori merceologici della qualifica ed anzianità di servizio del lavoratore, viene individuato in maniera molto differenziata.

Sulla base di queste premesse si dovrebbe agevolmente concludere che, trattandosi di diritto potestativo conferito al soggetto che subisce il recesso, questo ben può rinunciarvi senza alcuna conseguenza.

Così in effetti non è.

Ed infatti, tradizionalmente, la giurisprudenza di merito, con il probabile intento di salvaguardare il prestatore dimissionario che aveva fatto affidamento sulla continuazione dell’attività lavorativa e, pertanto, sulla percezione della retribuzione durante il periodo di preavviso, si era espressa in modo difforme ritenendo che le “aspettative e i diritti facenti capo al lavoratore dimissionario diligente nel periodo di preavviso non possono dunque essere frustrate dall’interesse e volontà datoriale a non utilizzare le prestazioni lavorative offerte, onde l’esonero del dipendente dall’effettuazione del preavviso pone il datore stesso in condizione di mora senza liberazione dalle obbligazioni per legge incombentigli” e dunque il datore di lavoro che intende, in ipotesi di dimissioni del suo dipendente, rinunciare al preavviso dovrà comunque corrispondere al lavoratore l’equivalente monetario.

Di tale impostazione vi è spesso significativa eco anche nei verbali conciliativi di risoluzione che prevedono, di regola, “l’esonero reciproco al periodo di preavviso (per il lavoratore) ed al pagamento della relativa indennità (per il datore di lavoro)”.

Ed ancora nella contrattazione collettiva: così, ad esempio, l’art. 254 CCNL Terziario stabilisce che “(…) Ove invece il datore di lavoro intenda di sua iniziativa far cessare il rapporto prima della scadenza del preavviso, ne avrà facoltà, ma dovrà corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva nelle misure di cui al comma precedente per il periodo di anticipata risoluzione del rapporto di lavoro”.

In tale contesto riveste dunque particolare interesse una recente sentenza del Tribunale di Padova (7 marzo 2019, n.181) che rovescia, sembrerebbe per la prima volta, tale impostazione riportando la questione alle categorie civilistiche e statuendo che la rinunzia al periodo di preavviso da parte del datore di lavoro non obbliga alla corresponsione dell’indennità sostitutiva, in assenza di una specifica clausola contenuta nel contratto individuale di lavoro o contratto collettivo.

Impostazione, quest’ultima, già consolidatasi in materia di agenzia (l’art. 1750 c.c. non fa riferimento all’indennità sostitutiva ma vincola solo al preavviso la parte recedente) laddove secondo la migliore dottrina ma anche secondo i principali Accordi Economici Collettivi (AEC Industria ed AEC Terziario), la parte che subisce il recesso  si trova nella posizione di poter scegliere se liberare il recedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto, oppure chiedere l’esecuzione del preavviso: (anche) il preponente è dunque legittimato a non pagare l’indennità sostitutiva, a fronte del recesso esercitato dall’agente, comunicando la semplice volontà di porre fine al rapporto (entro termini stabiliti dai suddetti AEC).

In conclusione, la questione dovrebbe indurre a porre maggiore attenzione da parte dei contraenti, in caso di assenza regolamentativa di fonte collettiva, (anche) in fase di stipulazione dei contratti individuali di lavoro.

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